Material Realities: Dancing Decreation in La Passion de Simone

Farrah O’Shea (University of California, Los Angeles, UCLA)

Simone Weil, early 20th century French philosopher, political activist and mystic, felt that in listening to music she «[rose] above the flesh to listen and find “perfect joy” in the “unimaginable beauty of the chanting and the words”». This apophatic mysticism places music at the center of what Weil elsewhere calls “decreation,” a transcendent state enacted through strict attention and will that «makes the void or decreates the I», a forfeiture of personality, in the absence of which «supernatural grace [might] descend».

In the eighth of fifteen “stations” (of the cross) that make up Kaija Saariaho’s oratorio inspired by Weil, La Passion de Simone, timbral shifts combine with themes of presence and absence to create a sonic landscape reminiscent of Weil’s transcendent state. Largely instrumental, the eighth stands out from other, more narrative stations. Following an eight-bar vocal unison between the electronics (recorded voice) and the soprano, the human voice, along with a material sense of embodiment, recede from the music while, in the two video performances considered in this paper, a material female body commands the visual focus.

This paper reverses the process of decreation by exploring the physical bodies that these performances of decreation rely on. Through an examination of danced gesture and its relationship to spectral, timbral shifts, this paper considers how race and gender resonate within a supposedly supra-embodied space. By comparing the relationship of physical bodies to the spectral development of Saariaho’s initial theme in two videos – one a performance document, the other meant either to accompany live performance, or to be viewed online as an audio/visual experience unto itself –  this paper shows how, in each video, Weil’s “decreation” and its ties to transcendence reveal a connection to the unmarked white male transcendence that pervades the landscape of Western Art Music.

Filosofa, attivista politica e mistica francese del primo Novecento, Simone Weil affermava che attraverso l’ascolto della musica si sentiva «[innalzare] al di sopra della carne, per ascoltare e trovare la “perfetta gioia” nella “inimmaginabile bellezza del canto e delle parole”». Questo misticismo apofatico pone la musica al centro di ciò che altrove Weil aveva chiamato “decreazione”: uno stato trascendente messo in atto attraverso una rigorosa concentrazione e una volontà che «determina il vuoto o decrea l’Io», una perdita di personalità grazie alla quale «la grazia sovrannaturale [potrebbe] discendere».

Nell’ottava delle quindici “stazioni” della Via Crucis che compongono l’oratorio di Kaija Saariaho ispirato a Weil, La Passion de Simone, le alterazioni timbriche si combinano con i temi della presenza e dell’assenza per creare un paesaggio sonoro che ricorda lo stato trascendente di Weil. L’ottava stazione è prevalentemente strumentale, e si distingue dalle altre che risultano invece più narrative. Dopo un unisono vocale di otto battute tra l’elettronica (voce registrata) e il soprano, la voce umana (dotata di un senso materiale di incarnazione) si allontana dalla musica. Nei due video analizzati in questa relazione, invece, la materialità di un corpo femminile detiene il controllo sul focus visivo. Il primo video documenta una performance, mentre il secondo è destinato ad accompagnare la live performance, oppure a essere fruito online come un’esperienza audiovisiva a sé stante.

L’analisi inverte il processo di decreazione, esplorando i corpi fisici su cui si basano queste performance. Esaminando il gesto danzato e la sua relazione con le alterazioni spettrali e timbriche, si valuta in che modo i concetti di razza e di genere risuonino in uno spazio apparentemente sovracorporale. Mettendo a confronto la relazione dei corpi fisici con lo sviluppo spettrale del tema iniziale di Saariaho nei due video, si dimostra come la “decreazione” di Weil manifesti una forte connessione con la trascendenza maschile bianca che domina il panorama della musica d’arte occidentale.