“‘Though a slave enchained to a tyrant, are you not still a sovereign?’: Captive Cartographies of Race and Empire in Meyerbeer’s Vasco de Gama”
Kate Driscoll
Named for the Portuguese seafarer who connected the Atlantic and Indian oceans, Giacomo Meyerbeer and Eugène Scribe’s Vasco de Gama (originally titled L’Africaine) demonstrates how examples of global collective history evolved on the operatic stage, according to the representation of intersecting power structures. Such ideations of politics-in-performance debate questions of slavery and the commodification of strangers, domination and subordination between the sexes, racial and ethnic categorization, and the mobile embassies of Church and State. Based, in part, on episodes from Camões’ Os Lusíadas, the opera’s complex re-imagination of Da Gama’s voyage critiques and transcends the hierarchical binaries that underscore Eurocentric approaches to cross-cultural encounters. The opera’s portrayal of hybrid personalities (e.g., slave-queen, captive-captain, etc.) reveals how the cartographic imaginary of colonial power develops at the crossroads of transnationally negotiated identities, both on and off stage. African voices subject to foreign captivity harmonize with the concerns of some anti-authoritarian Europeans; such polyphonic criticisms against common bodies of power obscure the lines between history and fiction, records of the colonizer and of the colonized. Illustrating the role of reception in revisionist historiography, my presentation’s theoretical reflections question opera’s so-called “obligation to empire.” If narrative accounts of an empire’s national heritage, in this case Portugal’s, can be translated for and colonized by later forms of imperial rule (i.e., France), to what degree does Vasco enact a translatio imperii for historical and contemporary audiences?
Intitolata al navigatore portoghese che rese possibile i collegamenti tra oceano Atlantico e Indiano, l’opera di Giacomo Meyerbeer e Eugène Scribe Vasco de Gama (originariamente intitolata L’Africaine) dimostra come alcuni episodi di storia collettiva globale si siano proiettati sulla scena operistica, in funzione di una rappresentazione della dialettica tra poteri contrastanti. Queste rappresentazioni mettono in scena le questioni della schiavitù e della mercificazione degli stranieri, la dominazione e la subordinazione tra i sessi, la distinzione razziale ed etnica, la mobilità del potere della Chiesa e dello Stato. Basata in parte su episodi di Os Lusíadas di Camões, la complessa rivisitazione del viaggio di Da Gama critica e trascende i confini gerarchici che caratterizzano gli approcci eurocentrici nei confronti degli incontri interculturali. La messa in scena di personalità ibride (per esempio, schiavo-regina, prigioniero-capitano, ecc.) rivela come l’immaginario iconografico del potere coloniale si sia sviluppato nel punto d’incontro di identità negoziate a livello transnazionale, sia sul palcoscenico che fuori.
Le voci africane soggette alla prigionia straniera si armonizzano con le preoccupazioni di alcuni europei che si oppongono all’autoritarismo; tali critiche polifoniche contro i luoghi comuni del potere oscurano le linee di demarcazione tra storia e finzione, tra i registri del colonizzatore e quelli del colonizzato. Evidenziando il ruolo della ricezione nella storiografia revisionista, le riflessioni teoriche proposte in questa relazione mettono in discussione il cosiddetto “obbligo verso l’impero” dell’opera. Se i resoconti narrativi della tradizione nazionale di un impero, in questo caso del Portogallo, possono essere tradotti e colonizzati da forme successive di governo imperiale (cioè dalla Francia), in che misura Vasco realizza una translatio imperii per il pubblico del passato e per quello contemporaneo?