Nei deserti di Varèse e di Viola

Giacomo Albert – Gianfranco Vinay (Università di Bologna – Université Paris 8)

In October 1994 Bill Viola’s video of Edgards Varèse’s Déserts was premiered in Vienna by Ensemble Modern, who commissioned it. It had great success, and it has been therefore performed several times since then, both in live performances, and not. Varèse conceived Déserts as a multimedia project, but he has never had the opportunity to make the film; Viola’s video became therefore a sort of substitute – somehow a posthumous completion – of Varèse’s original project in our collective imagination.

Only a few documents of the original Varèse’s project are available; nonetheless, we are able to get a glimpse of his intentions. Among these, particularly important was the principle according to which «images, sequences etc. will be used to obtain plans and volumes which will be organized and so composed as to obtain a final montage to be fitted to the already existing musical construction» (from a letter to Merle Armitage of July 1952). From a verbal testimony on Déserts’ compositional technique we evince that the fundamental principle that Varèse intended to follow was precisely the opposition between “planes” and “volumes” of sound, between “intensity” of the acoustic result and “tension” of the intervals. If Varèse intended to create relationships with visual images based on the tensions and oppositions between musical images, the result would certainly have been different from that obtained by Bill Viola.

In Viola’s video, the structure and the editing of the sections that correspond to the instrumental sections of Déserts, with a few rare exceptions, do not reflect «the already existing musical construction», but do establish a sort of counterpoint with it. It is however true that in a letter sent to his daughter Claude in June 1949, Varèse speaks of a film project about Déserts in collaboration with Burgess Meredith – actor, director, and producer – in which the visual images would «follow or contradict the score». Moreover, the opposition between the sequences corresponding to the instrumental episodes and the sequences corresponding to the interpolations of concrete music, of «organized sound», also follows a different logic from that of Varèse.

In Varèse’s composition, relationships of analogy between instrumental sounds and organized sounds (sometimes the same: the percussions, for example) create a joint relationship between the two sonic universes; however, in Viola’s video-film the contrast between mostly rapid sequences of desert images and slower sequences of the character’s actions filmed in the internal space of the room, creates a dialectic relationship between external deserts and internal deserts: dimensions that tend to merge in the procession towards the final sequence. Moreover, Viola’s Déserts should also be seen as an important step in the career of the video artist.

On the one hand, working on a musical masterpiece is an exception in Viola’s modus operandi; on the other one, using images and “topoi” that recur obsessively in his previous and subsequent works leads the video back to its poetic constellation. Viola’s video is neither a philological reconstruction, nor an independent work vaguely inspired by a previous work; rather, Salvatore Sciarrino would have called it an “elaboration”. A close dialogue between a pre-existing work and the imagination of a creator, between the poetic worlds of two visionary artists.

Nell’ottobre del 1994, a Vienna, durante un’esecuzione di Déserts di Varèse venne proiettato per la prima volta il video commissionato dall’Ensemble Modern a Bill Viola; da quel momento in poi, il successo e l’originalità di questo abbinamento ha fatto sì che l’operazione sia stata ripresa molto spesso, sia in versione live sia con supporto musicale registrato. In assenza del film che Varèse avrebbe voluto realizzare, nell’immaginario collettivo il video di Viola è diventato una sorta di sostituto, quasi un compimento postumo. Del progetto originario di Varèse ci restano pochi documenti, ma sufficienti per farci avere un’idea delle sue intenzioni. Fra queste, il principio secondo il quale «immagini, sequenze saranno impiegate per ottenere piani e volumi che verranno organizzati e composti in modo da ottenere un montaggio finale che si adatti alla costruzione musicale preesistente» (da una lettera a Merle Armitage del luglio 1952). Da un’altra testimonianza verbale sappiamo che il principio fondamentale che Varèse aveva posto alla base della tecnica compositiva di Déserts era proprio l’opposizione fra “piani” e “volumi” sonori, fra “intensità” del risultato acustico e “tensione” delle ampiezze intervallari. Se l’intenzione di Varèse era quella di creare delle relazioni con le immagini visive basate sulle tensioni e sulle opposizioni fra le immagini musicali, il risultato sarebbe stato sicuramente diverso da quello ottenuto da Bill Viola. Nel video-film di Viola, infatti, la gestione del tempo e il montaggio degli episodi corrispondenti alle sezioni strumentali di Déserts non rispecchiano, salvo qualche rara eccezione, «la costruzione musicale preesistente», ma si pongono in una sorta di contrappunto con essa. È pur vero che in una lettera inviata alla figlia Claude nel giugno del 1949 Varèse parla di un progetto di film su Déserts in collaborazione con Burgess Meredith, attore, regista e produttore, nel quale le immagini visive avrebbero «assecondato o contraddetto la partitura». Del resto, anche l’opposizione spazio-temporale fra le sequenze corrispondenti agli episodi strumentali e quelle corrispondenti alle interpolazioni di musica concreta, di «suono organizzato», segue una logica diversa da quella varèsiana. Laddove nella composizione di Varèse certe relazioni analogiche fra suoni strumentali e suoni organizzati (talvolta gli stessi, ad esempio le percussioni) creano un rapporto concertante fra i due universi sonori, nel video-film di Viola la contrapposizione fra sequenze per lo più rapide di immagini desertiche, e sequenze en rallenti delle azioni del personaggio ripreso nello spazio interno della stanza, realizza un rapporto dialettico fra deserti esterni e deserti interiori: dimensioni che però tendono a fondersi, nell’incedere verso la sequenza finale. Naturalmente Déserts di Viola va visto e interpretato anche e soprattutto come un passo importante nella carriera del video-artista newyorkese. Se lavorare a partire da un capolavoro della musica è un episodio isolato rispetto al suo modus operandi, la presenza di immagini e di topoi che ricorrono ossessivamente nella sua produzione precedente e successiva riconducono il video-film nell’alveo della sua costellazione poetica. Non si tratta né di una ricostruzione più o meno filologica, né di un’opera indipendente vagamente ispirata a un’opera precedente, ma piuttosto di ciò che Salvatore Sciarrino chiamerebbe «elaborazione»: un dialogo serrato fra un’opera preesistente e l’immaginario di un creatore, fra i mondi poetici di due artisti visionari.