Gian Paolo Minardi
Esordi gregoriani di Ildebrando Pizzetti
L’etichetta “gregoriana” che Ildebrando Pizzetti convenzionalmente si porta addosso ha radici profonde, ben diverse dalla vocazione “antichistica” di altri musicisti del nostro Novecento storico. Fondamentale fu per Pizzetti l’incontro con Giovanni Tebaldini, uno dei più meritori continuatori del movimento ceciliano, che nel 1897 aveva assunto la direzione del Conservatorio di Parma dove con spirito pionieristico, non poco osteggiato, allargò il campo dell’insegnamento allo studio del canto gregoriano e della polifonia palestriniana. E proprio dalla scoperta di queste regioni lontane svelate da Tebaldini il giovane Pizzetti trarrà spunti e motivazioni già riconoscibili nei lavori di scuola, in quel carattere prosodico del discorso musicale che costituirà un tratto costante nel linguaggio pizzettiano. L’attrazione del giovane compositore verso quel mondo remoto che indicherà come “musica dei greci” non si traduce in una esplorazione filologica ma nella rivelazione di quella ricchezza scaturente dal rapporto con l’ethos, matrice di quella tensione drammatica che domina la visione del compositore. La fede per una musica concepita come “puro sentimento fatto suono”, un disegno che oltrepassa le pure questioni di lingua per avvolgere più ampiamente l’uomo e superare quindi categorie e schemi; dramma che si consuma non soltanto entro le grandi aperture teatrali ma pure nello spazio più raccolto di una lirica, nel teatro più privato di un tempo di sonata, nella trama austera e scabra di una pagina corale.
Ildebrando Pizzetti’s sincere and deep-rooted devotion to Gregorian music is quite different from the generic attraction for early music widespread among Italian composers at the beginning of the twentieth century. The meeting with Giovanni Tebaldini was crucial in Pizzetti’s artistic life: Tebaldini was one of the most deserving assertor of Caecilian movement and in 1897 took over the direction of Parma’s Conservatory. Despite strong oppositions, Tebaldini included teaching of Gregorian chant and Palestrinian polyphony in musical education. By rediscovering these remote realms Pizzetti found inspiration for a prosodic musical language that, already evident in his apprenticeship works, was to become a constant feature in his style. The young composer’s attraction towards the remote world he labelled “music of Greeks” does not result in a philological exploration, but rather into the revelation of its ethos made of richness, an endless source of the dramatic tension which is central in his artistic perspective. Faith in a music conceived as “pure sentiment made sound”, an idea that goes beyond mere language matters in order to enshroud humanity, thus crossing categories and schemes. A drama that lives not only in wide theatrical spaces but also in the intimate space of a lyric, in the personal setting of a sonata’s movement, in the austere and terse plot of a choral piece.